Ci ha lasciato Gian Nicola Vessia. Un uomo estroverso, un autentico musicista-compositore e un raffinato scrittore e irreprensibile critico musicale. Ma soprattutto un amico vero e sincero.
Dotato di alta genialità intuitiva e predisposto alla cultura multiforme, rafforzatasi negli anni universitari grazie all’arte e allo stile del prof. Mario Apollonio mentre seguiva gli insegnamenti di letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano, si lasciò affascinare dalla “scapigliatura” di questo maestro dottissimo ma amante della semplicità che evidenziava ogniqualvolta fosse necessario. Cosi scriveva il prof. Apollonio su Milano: «una città cresceva nella pianura immensa. Immensa, ma quando il vento spazza le nebbie, nel celeste nitore delle cose lontane ravvicinate, le groppe degli Appennini rispondevano alle vette delle Alpi… La città dava segno di sé con “quella gran macchina del duomo sola sul piano”, e chi vi giungeva come Renzo, subito voltava lo sguardo al monte … “nel brulicare delle vite poverelle, in quel continuo rimescolio di fortune…”»
Caro Nicola, apprezzavi tanto questa genialità nello scrivere e nel narrare del “tuo” professore. La discussione magnanima e sciolta delle idee più ardite, il ripensamento audace che dava concretezza alle proposte più astratte. Ti piaceva immaginare le persone andare incontro alle idee e l’epopea delle cose, condividendo al tempo stesso il primo canone della moralità lombarda: accettare la dedizione al lavoro.
Finita l’università ti sei ritrovato in preda all’inquietudine della curiosità.
Ma tra le grandi curiosità, la musica era l’arte che avevi prediletto sin da piccolo. Ti eri formato al grande magistero spirituale-musicale di don Luciano Migliavacca, per 41 anni direttore della Cappella del Duomo di Milano; ovvero eri stato un puero cantore della Schola milanese e dunque avevi assimilato la capacità di interpretare con grande verità i sentimenti e le preghiere più profonde della Chiesa. Da qui la tua dedizione alla musica sacra, di cui altri più di me dovranno ricordare il tuo infaticabile impegno sino agli ultimi giorni della tua vita.
Come tanti altri sento di esserti stato e di restarti fedelmente amico. Voglio solo richiamare qui quelle serate dopo i concerti d’organo in Università Cattolica, che si concludevano nel mio piccolo studio di piazza S. Ambrogio con altri nostri comuni amici. Al termine di questi momenti conviviali e culturalmente prodighi di idee cui andare incontro e lavorare già all’indomani – sarebbe meglio dire l’oggi dato l’orario – su tua sollecitazione ci piaceva ascoltare il disco BachJazz che il Trio Cicero e il prof. Krumbach avevano realizzato nel 1985. Ma era il Preludio XXII del Primo libro del Clavicembalo ben temperato, il quinto brano del disco, a catturare tutta la nostra attenzione: in religioso silenzio tutti ascoltavamo l’austero incipit perfettamente bachiano enunciato da Wilhelm Krumbach sul Truhenorgel e quasi ci si commuoveva quando iniziava lo stacco pianistico di Cicero. Al suono raccolto ed elegantissimo del professore seguivano le libere e sciolte note pianistiche improvvisate jazzisticamente da Cicero e il suo trio. In questa originale elaborazione il ruolo della tonalità scura di si bemolle minore, fittamente velata dalla trama polifonica a cinque voci, si stemperava all’entrata del pianoforte e iniziava una elaborazione tematica e ritmica sviluppando una serie geniali di episodi. Ti affascinavano quegli episodi “scapigliati” inventati da Cicero, proprio per la tua innata vocazione verso una cultura poliedrica, assimilata seguendo le lezioni del prof. Mario Apollonio in Università Cattolica.
Oggi, insieme a tua moglie Donatella, alle tue figlie Chiara e Micol e a tanti amici, piango la tua morte. Ma è solo un arrivederci.
Ciao Gian Nicola!
Eugene Cicero Trio e Wilhelm Krumbach, Cicero’s Prelude dall’album Jazz Bach (1985)
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Eugene Cicero Trio e Wilhelm Krumbach, Siciliana dall’album Jazz Bach (1985)
L’Archivio musicale dell’Angelo ti ricorda anche così
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