NURAGHE ARCANU
La civiltà nuragica della Sardegna, tra l’VIII e il VI secolo a.C., ha disseminato l’isola di circa settemila torri di sasso, piccole o grandi, tutte fatte a forma di cono mozzo che si restringe lentamente.

Torri di avvistamento? Fortezze di protezione dal nemico? Costruzioni di maestà e potenza che spesso si confondono in un panorama di rupi che paiono anch’esse castelli o torri?
I nuraghi, ancora oggi, fanno mistero della loro vera identità suscitando soprattutto in coloro che nel passato li hanno osservati – come è stato nella esperienza dei pastori per i quali esistevano un tempo soltanto i grandi cieli della natura, le stagioni, la nascita, il matrimonio, la morte – una attonita contemplazione, un senso di misteriosità e di compiaciuta fantasia.
Anche i poeti, i narratori, i musicisti, spesso, nelle pagine che dedicano alla civiltà sarda, si attardano a considerare i paesaggi della Sardegna come luoghi letterari di infanzia e di memoria.
Specialmente i narratori non mancano di sottolineare, direttamente o indirettamente, quella “intelligenza sarda abitualmente silenziosa, discorsiva ma a tratti, mai retorica, mai divagante, netta, esatta, razionale” (Piovene); ma essi la collegano quasi sempre a quella filosofia di vita dedita a una malinconia profonda, a una amareggiata solitudine, a una riservatezza personale e familiare timida e dignitosa: ovvero i contorni di una atavica e remota civiltà.
Don Pietro Allori nel suo brano per chitarra Nuraghe arcanu (scritto il 13 gennaio del 1974 ad Iglesias) ci restituisce, con giusta armonia e vero senso del ritmo tradizionale sardo, un’immagine chiara e vibrante delle “torri di sasso”. Ha voluto evocare l’imponenza e l’energia dello scenario paesaggistico presieduto dalla presenza di un nuraghe, quale immagine di una forte e antichissima civiltà.
Silenzio e memoria, dunque, zampillano in questa melodia pizzicata del sacerdote-musicista, sì da apparire una riflessione sonora di viva efficacia espressiva. Silenzio e memoria che, avviluppandosi, come in una inestricabile radice, con l’umano impasto delle emozioni, del sentimento, delle quotidiane immagini di una terra e di uno spazio come la Sardegna nuragica, costituiscono la vera cifra e lo spessore essenziale del comune vivere dell’uomo in questa isola.
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