Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit.
In ihm leben, weben und sind wir, solange er will.
In ihm sterben wir zur rechten Zeit, wenn er will.
Il tempo di Dio è il tempo migliore.
In esso viviamo, ci muoviamo, esistiamo, finché Egli vorrà.
In esso morremo, al tempo giusto, secondo la Sua volontà.
Il testo del primo coro della cantata BWV 106 Actus tragicus (di cui ascoltiamo in sottofondo la Sonatina iniziale in versione organistica) sintetizza efficacemente la riflessione di questi giorni, tra memoria dolente e sguardo al futuro.
Ricordare coloro che sono tornati alla casa del Padre – tra i tanti che hanno condiviso un tratto di cammino con noi – non è però soltanto un omaggio legato alla prossima festività in commemorazione dei defunti, né mera occasione per fare memoria di momenti vissuti ed esperienze acquisite. Proprio la consapevolezza di esistere nel migliore dei tempi possibili, il tempo di Dio, rende questi preziosi ricordi indispensabile nutrimento dell’oggi e di tutti i giorni che ci separano dal “tempo giusto”.

Il passato, anche quello più remoto, è ancora in grado di influenzare le scelte di oggi. Ripensando alla Sonatina dell’Actus tragicus mi viene in mente Hannes Meyer, che la eseguiva spesso all’organo e al quale probabilmente sono debitore dell’entusiasmo nell’organizzare intorno alla musica. La semplicità con cui l’organista svizzero scomparso nel 2013 si accostava anche alle opere più complesse senza mai banalizzare la pagina musicale è forse la sua più grande lezione, ciò che lo accomuna – pur nelle diversità che caratterizzano ciascuno – a quanti per me fanno parte della schiera degli “spiriti beati” così ben idealizzati da Gluck nella celebre danza del suo Orfeo ed Euridice.

E, appunto, non si tratta solo di maestri e amici che ci hanno lasciato e dei quali ricordiamo con infinita nostalgia la lezione di vita, il motto di spirito, l’esempio artistico: i motivi stessi per cui essi permangono nei nostri pensieri fanno sì che nel “migliore dei tempi” cercheremo e riconosceremo altri compagni di strada in grado di indicarci il cammino e insegnarci sempre nuove lezioni. La strada ci appare, come in passato, chiara e ben delineata nel solco della verità musicale che abbiamo scelto come paradigma assoluto per raccontare le realtà musicali da noi vissute e che stiamo ancora vivendo. È una idealità alta che ha il perno nella musica di Bach e negli studi liturgici e gregoriani del prof. Giacomo Baroffio. Radici importanti, che hanno nutrito l’intera esperienza degli Amici della Musica e del Coro dell’Università Cattolica nell’organizzare e realizzare stagioni di musica strumentale e corale; e che ancora vivono e danno frutti. Gli “spiriti beati” non esistono solo nel mondo ultraterreno di Gluck.
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