In occasione della festività di santa Cecilia, patrona della musica, riproponiamo parte dell’omelia che mons. Giovanni Saldarini 1, all’epoca vescovo ausiliare di Milano, tenne nella basilica di sant’Ambrogio il 24 novembre 1984, in occasione dell’incontro tra cori a servizio della liturgia organizzato dal Coro dell’Università Cattolica nell’ateneo di largo Gemelli.
1 Giovanni Saldarini (1924 – 2011) fu ordinato sacerdote dal cardinal Schuster nel 1947. Terminati gli studi al Pontificio Istituto Biblico di Roma torna della diocesi milanese, prima come docente (seminario di Vengono Inferiore) e poi come parroco (Carate Brianza – ss. Ambrogio e Simpliciano; Milano, s. Babila). Ordinato vescovo nel 1984, nel 1989 è nominato arcivescovo metropolita di Torino e cardinale nel 1991. Nel 1999 Giovanni Paolo II accoglie la sua richiesta di rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi per motivi di salute. Muore a Milano il 18 aprile 2011.

Quando si canta bene si prega due volte
«Credo che sia estremamente importante che voi siate qui raccolti nel nome del Signore a celebrare l’Eucaristia nella seconda domenica di Avvento in onore della vostra patrona, precisamente perché nessuno dimentichi che cantare è un’arte, ma è soprattutto una preghiera. E così posso ripetere a ciascuno di voi l’antico detto di Agostino: “Chi canta bene prega due volte.”
Solo che può capitare che ci si dimentichi troppo affrettatamente dell’avverbio “bene”, quasi che bastasse cantare comunque e in ogni maniera perché sia vero che si prega due volte quando si canta.
Scultura lignea di santa Cecilia (Valgardena - Demi-Art) Chiesa parrocchiale di Gonnesa - Casa Allori (Gonnesa) Archivio musicale dell'Angelo di Milano
Mi permetto di ricordare qualcuna delle esigenze perché il canto sia una doppia preghiera: innanzitutto la riaffermazione che la liturgia non può prescindere dal canto e dalla musica, anzi esse saranno sacri precisamente nella misura in cui saranno inseriti nell’azione liturgica, cioè nella celebrazione dell’assemblea convocata da Dio.
Celebrazione: il che significa ricordare che musica e canto sono al servizio della liturgia e non si servono della liturgia… Si tratta di cantare, ma al servizio della celebrazione dell’assemblea, e allora promuovere le Scholae è importantissimo per educare al canto il popolo di Dio. Le Scholae ci sono, non per far tacere l’assemblea, ma perché canti di più e meglio. A voi è affidato questo compito di educazione al canto perché le nostre assemblee liturgiche risuonino della gioia della fede attraverso questa espressione che è, appunto, un pregare due volte.
È probabile che ancora ci possa essere una certa sofferenza per coniugare la linea tradizionale e la linea nuova del cantare liturgico. È abbastanza normale che ci si ricordi che la via della soluzione non sta nella rigidità, ma nella genialità della ripresa dell’antico, come voi fate, e nella genialità della creazione del nuovo, come voi tentate. Sempre, però, con misura e saggezza… Occorre prima di tutto la memoria del valore del testo, oltre che del calore della musica liturgica. Il testo deve essere secondo la fede, cosicché la musica sia conforme al senso della celebrazione sacra. È necessario poi tener presente la funzionalità liturgica: che significa la scelta del canto in rapporto vivo con il mistero celebrato; in rapporto con l’assemblea, secondo le capacità e le esigenze di ogni assemblea, perché è l’assemblea chiamata a partecipare attivamente, intera, all’azione sacra.
Il vostro cantare, se è questo cantare, è profezia di speranza, è dono di fiducia per i vostri fratelli, che ne hanno infinito bisogno soprattutto in questi tempi. L’Apocalisse dice che coloro che sono riuniti intorno all’Agnello cantano un canto nuovo… Agostino si chiede dove sta questa novità e dice che sta appunto nella vita di coloro che cantano. Perché la vita di coloro che cantano è una vita di fede, di speranza e di carità: allora il canto è nuovo, è la novità cristiana annunciata al mondo in forma di canto, che raggiunge più facilmente i cuori.
2 Questo versetto del Salmo 79 costituisce uno dei più bei salmi responsoriali musicati da don Luciano Migliavacca, per 41 anni maestro di Cappella del Duomo di Milano dal 1957 al 2008. Lo scrisse nel 1982 su richiesta del Coro dell’Università Cattolica, in occasione del primo incontro in questo ateneo dei cori a servizio della liturgia della diocesi di Milano per la festa di s. Cecilia. Gli incontri si tennero per dieci anni. Al termine del convegno che aveva luogo nell’Aula magna dell’Università Cattolica, i cori partecipanti si recavano nella basilica di sant’Ambrogio per cantare la messa prefestiva della II domenica dell’Avvento ambrosiano (che rispetto a quello romano inizia due domeniche prima).
Don Luciano inviò il suo manoscritto qualche settimana prima per consentire ai cori partecipanti lo studio dell’ultimo ritornello elaborato polifonicamente e di non semplice esecuzione.
E allora si tratta di cantare a Dio nella fede, cantare con la voce la fede e così far meglio cantare la vita.
Questo è il movimento che deve ispirare il senso della vostra presenza nelle nostre assemblee e la grande grazia che, attraverso voi, Dio può farci.»
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