Archivum Musicae

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O bone Jesu (1983) a 4 v. m.  – Coro dell’Università Cattolica diretto da Angelo Rosso

Pensiero Triste in sol – (1972) Alessio Corti, organo (febbraio 2006)

Adoremus in aeternum (1945) a 3 v. p. – Voci virili del Coro dell’Università Cattolica diretto da Angelo Rosso

Corale in re – (sine data) Alessio Corti, organo (febbraio 2006)

Brani tratti dalla raccolta Laudemus Dominum. Musica per una Cattedrale. Pagine organistiche e corali di Pietro Allori. Milano 2010

I brani organistici sono stati eseguiti sull’organo Tamburini 1938 della Cappella Sacro Cuore dell’Università Cattolica di Milano e ivi registrati (febbraio 2006). I brani corali sono stati registrati durante esecuzioni concertistiche presso la Cappella Sacro Cuore e l’Aula Magna dell’Università Cattolica (1986 – 2007)

Pietro Allori: sacerdote e musicista a Gonnesa e Iglesias

Quando il 6 gennaio del 1954 mons. Giovanni Pirastru, vescovo di Iglesias, nominò don Pietro Allori maestro di cappella con il consenso unanime del capitolo della Cattedrale, la bella chiesa romanico-pisana del secolo XIII era chiusa per importanti restauri e per problemi di statica dell’intero edificio.

Era la Chiesa della Purissima a fungere da cattedrale. Don Allori iniziò dunque la sua attività di maestro di cappella nella chiesa che gli iglesienti chiamavano semplicemente “Chiesa del Collegio”.

In quello spazio “gesuitico”, edificato nel XVI secolo, le voci bianche del Seminario cominciarono a intonare gli Ecce sacerdos magnus a 2 voci durante l’entrata processionale del vescovo, e, nel corso del solenne pontificale, l’Ordinario della messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus, Agnus Dei) veniva eseguito sulle armonie per due voci simili elaborate da Marcello Cagnacci, che aveva appena fatto stampare, presso la tipografia Mauri di Firenze, una messa piuttosto dolce, dal titolo Mater divinae gratiae. Le voci maschili del seminario cantavano in gregoriano il Proprium della messa del giorno.

È importante sottolineare che don Allori iniziò il suo ministero musicale con composizioni non sue. Eppure a Gonnesa, presso la parrocchia S. Andrea ove fu viceparrroco per due anni, aveva già fatto cantare diverse sue messe e mottetti: la Exultemus Domino (1947), a una voce accompagnata dall’organo; la Lumen de lumine, a due voci, per la Pasqua del 1952; la Mane nobiscum Domine (1953), a una voce per due cori. E aveva già insegnato alcune parti della Fulgens corona (1953), a tre voci miste, che sarà la “sua” messa, la più amata da lui e dai suoi cantori e che venne eseguita nel 1955 per il giubileo episcopale del vescovo, mons. Pirastru, in coincidenza con la riapertura della cattedrale. Ma la musica per la chiesa dedicata a santa Chiara, cattedra del vescovo e chiesa-madre della diocesi, esigeva una più rigorosa attenzione al carattere liturgico-musicale proprio dei riti di una cattedrale e dunque – così ragionò don Allori – era meglio iniziare il proprio mandato di maestro di cappella utilizzando le composizioni di musicisti che già ricoprivano nelle cattedrali del continente quell’incarico: Licinio Refice a Roma, direttore della Cappella Musicale Liberiana presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, di lui fece eseguire la Missa gratia plena; Giovanni Battista Campodonico, dal 1914 maestro di cappella della Cattedrale di Nostra Signora dell’Orto di Chiavari, del quale insegnò la messa Fili David; Matteo Tosi, maestro di cappella del Duomo di Rimini, del quale insegnò la Missa Jubilate Deo per voci pari maschili.

Ma quali sono le caratteristiche delle composizioni di don Allori trentenne? La risposta è piuttosto semplice: dominano le tonalità maggiori, di do e di fa in particolare; l’invenzione melodica è facile e sciolta e in essa il compositore trova l’energia per gli appropriati sviluppi musicali, i cui valori estetici si fondono armonicamente con i temi e i motivi più interni dei testi liturgici. È una musica un po’ “esuberante”, ispirata da una spiritualità devozionale, adatta a interpretare i sentimenti religiosi più schietti dei numerosissimi fedeli che quotidianamente frequentavano la chiesa parrocchiale di Gonnesa. Ma in seminario, soprattutto grazie alla guida musicale di mons. Giovanni Viarigi, suo predecessore come maestro di cappella della cattedrale, don Allori aveva coltivato il gusto per il canto gregoriano, cogliendone la ferrea forza della struttura musicale e l’ineffabile senso spirituale.

Fu perciò l’impareggiabile scuola del canto gregoriano, che egli assimilò profondamente, a temperare lo spirito e la dimensione delle composizioni liturgiche del primo periodo alloriano. Egli imparò a riconoscere, da subito, il valore spirituale di questo repertorio destinato esclusivamente a guidare l’uomo nello slancio di preghiera verso Dio.

Numerosi sono i brani della sua ricca produzione mottettistica prescritti in alternanza con la salmodia, con gli inni e versetti gregoriani. La concisione stessa e la fisionomia interiore del gregoriano lo portano a concepire le sue composizioni come preghiere in canto. Una musica guidata, dunque, dalla sapienza della Parola divina espressa soprattutto nei Salmi.

“I pensieri della mente restano inespressi nell’intimo del cuore se non interviene la Parola divina ad esprimerli mediante l’intervento dello Spirito Santo.” Così affermava il monaco Basilio, padre della Chiesa del IV secolo.

“Non siete voi che parlate, ma parla in voi lo Spirito del Padre” (Mt. 10,20).

E ciò consente all’anima cristiana di porre a servizio i diversi doni che Dio, secondo la sua Grazia, comunica.

Don Allori, grazie alla sua arte compositiva, fu fortemente partecipe della vita ecclesiale iglesiente e dell’attività liturgica della cattedrale. In questo spazio di preghiera ha esercitato con totale dedizione il suo ministero. Lo ha fatto con la discrezione e la misura che tutti apprezzavano, e che è stata anche la vera cifra artistica del suo comporre per la chiesa cattedrale e la città.

Perciò le composizioni “iglesienti” ben si distinguono per linguaggio, costruzione, sensibilità e sapienza musicale, da quelle “gonnesine”. Differenze facili da cogliere soprattutto in riferimento alle composizioni, sia vocali sia strumentali, realizzate tra il 1981 e il 1984 e nelle quali ritroviamo tutto il sapore musicale delle opere compiute, ovvero il carattere di universalità proprio delle creazioni artistiche. Non più musica adatta solo ai riti di quella chiesa e per i suoi fedeli, ma per i riti di qualsiasi chiesa e per l’accrescimento spirituale e culturale in qualsiasi spazio.

Iglesias non era Gonnesa. Il suo paese d’origine gli aveva conferito sicurezza. Nella dimensione della chiesa e dell’organo “Gaet: Cavalli” aveva trovato le melodie e gli sviluppi polifonici adeguati alle liturgie di quella parrocchia. L’Adoramus Te Christe del 1946, il Crux fidelis e i due Stabat Mater del 1948 sono composizioni emblematiche di questa congruità e senso concreto del comporre per le celebrazioni liturgiche e le pratiche devozionali della parrocchia di Gonnesa, sostenute dall’incisiva azione pastorale del parroco don Onorino Cocco. Sul ruolo di questo grande sacerdote venuto da Torino si dovrà scrivere in seguito più diffusamente. Qui voglio brevemente confermare quanto più volte ho già affermato, tenendo conto di testimonianze vissute in prima persona. La presenza di don Onorino Cocco nella vita sia spirituale sia musicale di don Allori è stata fondamentale. Con un sentimento di amicizia profondo, che solo oggi si può apprezzare in tutto il suo valore, egli protesse la fragile salute fisica di don Allori, soprattutto negli anni più difficili – quelli che vanno dal 1945 al 1951 – quando il giovane chierico fu ricoverato nel sanatorio di Nuoro, e lo incoraggiò nello studio della composizione tramite corrispondenza con il maestro Cicionesi del Conservatorio di Firenze con il quale don Cocco era già in contatto. Il corso di composizione che il parroco di Gonnesa aveva già iniziato venne trasferito, con il consenso del docente fiorentino, a don Allori. Don Cocco ha dato testimonianza di una stima, di una ammirazione e di una conoscenza del talento di don Allori, anche dopo la morte di questi, persino superiori a quelle di chi scrive. Aveva capito immediatamente la profonda delicatezza del suo animo. “Quel delicato senso musicale che domina il tuo spirito”, come gli scriverà il vescovo mons. Pirastru comunicandogli la nomina a maestro di cappella sancita dal capitolo della Cattedrale di Iglesias.

Il flusso dei temi musicali che spesso affollavano la mente e il cuore di don Allori riusciva quasi sempre a trovare compiutezza formale in partiture elaborate con una profonda calma spirituale, che scaturiva dal clima di preghiera cui la sua vita quotidiana era improntata. Il carattere ascetico di tanti suoi brani è dato dalla fedeltà alla liturgia della santa messa e alla recita del breviario. La liturgia delle ore, sia quella celebrata in forma comunitaria nel Capitolo della Cattedrale, sia quella recitata in privato, è la fonte spirituale di tutte le sue composizioni sacre.

Per don Allori l’Ufficio divino era l’orologio sapiente che ritmava la sua vita di sacerdote e di musicista. La sua preghiera era radicata nei misteri della storia della salvezza, soprattutto su quelli della passione e morte di Gesù. Nutriva costantemente la propria vita spirituale leggendo la Sacra Scrittura perché, attraverso essa, non solo Dio ci rivolge la sua Parola, non solo possiamo contemplare meglio i misteri centrali della salvezza, ma la vita gradualmente si sintonizza su questo ritmo. Perciò la sua musica è ispirata costantemente dall’Ufficio divino, che è preghiera biblica, oggettiva e tradizionale. La liturgia delle ore era per lui un efficace incontro con il Padre attraverso Gesù nello Spirito.

Anche quando le sue composizioni musicali intendono descrivere semplicemente i sentimenti dell’animo umano – come possiamo constatare ascoltando i brani strumentali, soprattutto quelli destinati alla chitarra – la sua autentica coscienza religiosa rivela i sentimenti di un’anima che ha contemplato il mistero cristiano dell’esistenza attraverso le più belle energie che stanno nel fondo del cuore: una sorta di nucleo silente nel quale ritrovare emozioni innocenti e genuine pronte a trasformarsi in poesia. Ecco perché le sue composizioni per chitarra rivelano profondità che costituiscono un’isola incantata dell’anima. Pagine musicali che con i loro ritmi e le loro sonorità melodiose nobilitano l’animo dell’uomo, sospingendolo verso un entusiasmo tutto interiore, nel quale sono escluse sia la molle delicatezza sia l’esaltazione delle passioni. Anche questi semplici quadretti melodici per chitarra, immagini quotidiane della nostra esistenza, sono preghiera in quanto suscitano equilibrio e temperanza di affetti e di emozioni, caratteristica sublime della poesia biblica tanto amata dal sacerdote-musicista. È questo il senso della bellezza intesa come dono di Dio.

Questa lunga premessa all’ascolto di questa nuova produzione discografica del Coro dell’Università Cattolica potrà risultare utile a quanti, nella ricorrenza del 25° anniversario della morte, vorranno lasciarsi avvolgere dalle calde e dense armonie ora vocali, ora organistiche, di don Allori. Sono composizioni che appartengono sia al periodo “gonnesino” che a quello “iglesiente”.

Il pensiero musicale, nonostante le differenze di linguaggio e sensibilità musicale prodottesi nell’evoluzione del maestro iglesiente, rimane quello inconfondibile di don Allori: musica il cui suono “dipinge” momenti del quotidiano religioso e crea atmosfere interiori avvolgenti. La sua ansia sacerdotale lo proiettava verso suoni “spirituali”, quelli che sospingono all’incontro con il mistero della vita intesa come esperienza di Dio e pienezza di umanità.

Il Coro dell’Università Cattolica e l’organista Alessio Corti, interpreti delle pagine musicali presenti in questo nuovo cd dedicato a don Allori, con studio attento e ragionato, nonché con univoca volontà di rendere un sincero omaggio all’arte del sacerdote della Sardegna, si augurano di aver trovato il tono giusto nella comunicazione di queste pagine di musica spirituale.

Una particolare segnalazione sentiamo di dover riservare all’ultimo brano della raccolta: la Nenia in do diesis minore. La nenia è canto funebre, in Sardegna, “de antighissimu piantu” (di remotissimo pianto), secondo la definizione del poeta Antioco Casula di Desulo. È, nell’esperienza delle comunità sarde, una cantilena, un’aria dal movimento lento con ritorno continuo alla stessa frase melodica, intonata come una sommessa preghiera, quasi a bocca chiusa, da un’anima vinta dal più profondo dolore. Quella voce singola, quasi per ineffabile incanto, diviene la voce di un coro poiché fa cantare tutti i segreti canti racchiusi nelle profondità dell’anima di chi ascolta.

La Nenia in do diesis minore di don Allori canta la memoria remota della sua terra, la Sardegna pastorale e taciturna che sopravvive, con i suoi riti e con le sue antiche abitudini dai ritmi lenti e ripetitivi. Canta una civiltà arcaica, canta il pastore e il contadino del Sulcis abbarbicati ai loro costumi secolari, prigionieri di un antico destino che li confinano nella dura solitudine, vittime, un tempo non molto lontano, di esistenze prive di gioia. Canta il contadino che ara faticosamente il suo campo e che cerca di preservarlo con preghiere (le “rogazioni” della Chiesa) per scongiurare la siccità. Un’aria mesta, sobriamente accompagnata da altre voci, che costringe al canto profondo quanti intendono porsi in ascolto.

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