L’orizzonte musicale di don Pietro Allori

Giacomo Baroffio

L’orizzonte musicale di don Pietro Allori
tra oralità scrittura interpretazione

            La vita e l’opera di una persona possono essere oggetto di considerazioni e valutazioni che mettono particolarmente a fuoco alcuni aspetti delle vicende umane. Nel caso di un sacerdote, un suo profilo biografico metterà in evidenza soprattutto gli elementi che qualificano la sua vocazione e missione presbiterale che trovano indubbiamente il loro centro nevralgico nel servizio alla Parola e nell’amministrazione dei sacramenti. In un’ottica sempre più chiara e incisiva che permette di scorgere le tappe di un cammino spirituale che si va affermando sempre più come glorificazione di D-i-o e santificazione del popolo credente.

            Particolari condizioni ecclesiali e sociali possono intervenire nel plasmare diverse forme nelle quali si concretizza la vocazione personale nel dispiegare i doni che D-i-o elargisce alla famiglia umana tramite la mediazione delle singole persone. Nel caso di don Pietro ci troviamo di fronte ad una felice sintesi di vari elementi in gioco che hanno permesso primo) a lui di crescere quale sacerdote e secondo) alla comunità di godere di un particolare arricchimento culturale e spirituale che solo la Musica (con la M maiuscola) è in grado di realizzare.

            Il percorso di don Allori è segnato sin dalla prima età da un itinerario che si muove a zig zag verso due poli che, pur rimanendo distinti, in seguito si concentreranno in un’unica stella polare. Ragazzino è affascinato da D-i-o, dalla presenza di Maria, dall’amicizia dei santi la cui vita popola la sua fantasia e plasma la sua sensibilità. Contemporaneamente vediamo Pietro destreggiarsi tra gli strumenti musicali da cui riesce a trarre quei suoni che non si fermano alle note (do re mi …), ma permettono al ragazzo di far cantare il suo cuore. Note che salgono dal profondo lungo i dirupi scoscesi della sua umanità in piena fase di maturazione e assestamento. Prima in famiglia e a Gonnesa, poi nel Seminario, Pietro percepisce la voce che lo chiama a sé, che l’aiuta a uscire dal suo bozzolo confortante e rassicurante. La musica l’accompagna come diversivo, evasione dalle angustie di certe situazioni. Fino a quando prende coscienza che è sacerdote perché musico ed è musicista perché è ministro di D-i-o a servizio delle sorelle e dei fratelli che lo circondano.

            Entrare nella vita-missione di don Allori è difficile, come ogni tentativo di valicare lo sbarramento di una persona, sempre icona inedita e nuova che mostra un aspetto di D-i-o e del suo Cristo. È semplice raccogliere notizie biografiche, date ed aneddoti di qualsiasi persona. È pressoché impossibile alzare il velo che nasconde il vero volto di ciascuno, i fremiti che l’agitano, le delusioni che l’azzoppano, i desideri che l’infiammano… Lasciando aperte altre vie, cerchiamo di entrare in tre situazioni che potrebbero aiutarci a conoscere don Pietro Allori sacerdote-musico.

1] Oralità

            L’universo dell’oralità costituisce il contesto in cui il piccolo Pietro s’affaccia sullo scenario della vita sociale e cresce in età e sapienza. Prima ancora di saper leggere, e anche dopo l’apprendimento della lettura, l’infante, il piccino e il ragazzo sono immersi in un oceano di vibrazioni sonore che si rincorrono, si sovrappongono, si susseguono secondo circuiti imprevisti e imprevedibili. Suoni e rumori, parole e canti s’intrecciano e formano un caleidoscopio sonoro. Sollecitazioni continue provocano fastidio, talora dolore. Spesso lasciano indifferenti, talora annunciano e donano la pace. L’orecchio di Pietro capta con intensità alcune vibrazioni. La Ninna-nanna della mamma e delle parenti intorno al lettino. I canti di lavoro percepiti in lontananza, le nenie incomprensibili ma piene di fascino durante i rosari e le preghiere nella famiglia. Poi tutto si amplifica e incanta durante gli incontri in chiesa…

            L’oralità è lo spazio dove l’ascolto si forma e diviene egemone. Tale spazio esige una molteplicità di fonti sonore che l’orecchio attento riesce poco per volta a distinguere, facendo in seguito una scelta che privilegia l’una o l’altra. Pietro nell’ascoltare gli adulti non solo impara a parlare e si crea un vocabolario che il tempo raffina. Più che dalle parole dette, il piccolo è affascinato, sembra quasi stregato dal canto. Impara anche lui a emettere quei particolari suoni. In forza dell’imitazione – modalità fondamentale nella cultura orale – riesce a copiare i differenti timbri, si cimenta negli ambiti vocali e scopre la tessitura che più gli conviene. Cerca altre soluzioni che portano a risultati imbarazzanti (la voce si strozza e scompare lasciando tracce di dolore in fondo alla gola) e interessanti (la voce raschia, si mimetizza e quasi indossa la maschera dei parenti e degli amici).

            Molti anni dopo questi esperimenti infantili, quando conoscerà il mondo delle sante icone, don Pietro si riconoscerà compagno e amico dei pittori tesi a dare un volto a Cristo, a Maria, a santi e demoni. Lui dà vita alle immagini che tramite la sua ispirazione iniziano a cantare, a proclamare la gloria dell’Altissimo, a confessare la miseria del cuore strapazzato dalle lacerazioni. Lo studio accademico delle tecniche musicali non hanno mai cancellato dalla mente e dal cuore di don Pietro la profonda impronta dell’oralità. Egli è stato un discepolo attento ed estremamente rispettoso dei maestri: molti senza conoscenze tecniche specifiche, alcuni del tutto analfabeti. Nel campo della musica religiosa e liturgica, dal compagno di giochi infantili alla vecchietta curva sotto il peso degli anni, i suoi maestri erano quasi tutti teodidatti. Forse storpiavano le parole in latino, la loro voce era acerba o stridula, ma proprio quelle voci erano ispirate. Grazie a un timbro unico e del tutto straordinario – che chiamerò vocalità mistica – quelle voci allargavano il cuore e vi immettevano il dono di una fede più solida, di un amore senza condizioni.

            Questo clima d’oralità si prolungava dal mattino al pomeriggio, dalla sera alla notte inoltrata. Durante il canto si fermava il tempo. Le pause di silenzio non erano prescritte da una partitura, ma erano dettate dallo Spirito: spazi di interiorizzazione, di silenzio che fermenta nel cuore e dipana le ombre della mente. Tutto ciò avviene in un fluire della melodia che sgorga ininterrotta come l’acqua dell’abbeveratoio nel paese arso dalla calura. In questi spazi di ascolto e di silenzio don Pietro prende coscienza della sua vocazione-missione. Con la stessa semplicità, con il medesimo impegno diuturno si metterà a cantare, suonare, insegnare, comporre.

2] Scrittura

            La scuola ha visto Pietro impegnato nella scoperta di un diverso approccio al mondo. Attraverso l’identificazione di tutta una serie di segni il ragazzo s’impossessa di un formidabile mezzo di comunicazione: la scrittura. Più avanti negli anni, soprattutto durante i corsi di teologia, il seminarista prima, e poi il sacerdote, riesce a percorrere i labirinti del pensiero umano quali sono prospettati nella vita quotidiana dopo essere stati fissati da generazioni e generazioni di persone. In particolare la conoscenza di tanti artifici letterari, le modalità espressive poetiche, le terminologie proprie delle varie discipline, in primis la teologia, permettono a don Allori di militare tra gli scrittori. Una solida formazione umanistica non solo gli dischiude i tesori della tradizione biblica e delle successive sistematizzazioni scolastiche, ma gli fornisce i lasciapassare necessari per entrare nella cerchia degli scrittori. Accanto a scritti occasionali e all’epistolario, don Pietro percorre in lungo e in largo il terreno delle narrazioni bibliche, si abbevera alle sorgenti della Parola di D-i-o che diviene cibo della sua mente, alimento del suo essere profondo.

            Dall’abisso della propria interiorità, grazie alla memoria dei testi liturgici e alla ruminazione della Parola, don Pietro si ritrova in compagnia di una folta schiera di credenti che vivono delle Scritture. Nella forza dell’unico e medesimo Spirito che ha suggerito agli agiografi quanto dovevano fissare, egli accoglie la Parola nel proprio cuore e l’osserva da tutte le angolazioni, la gira e rigira in modo tale da poterne scorgere i riflessi più reconditi e i contenuti più semplici e immediati che rischiano di essere nascosti dalla loro ovvietà. Non ha pretese di tessere ricche e provocanti antologie. Egli taglia e ricucisce insieme i versi biblici che hanno toccato il suo spirito, hanno dischiuso il suo sguardo interiore, hanno fatto risuonare una nuova luce. Testi perlopiù brevi, talora microscopici, talora ampi: tutti messaggi di un nuovo patto tra D-i-o e l’uditore attento della Parola che esige d’incarnarsi nell’adorazione e nella carità fattiva.

            L’universo della scrittura a don Pietro apre però nuovi e particolari orizzonti. La sua scrittura non si limita a testi letterari, si sostanzia di suoni tradotti in segni. Egli scrive musica. Ha appreso i primi rudimenti di questa inconsueta grammatica sfogliando l’abbecedario del Liber Usualis,[1] le note del canto gregoriano, alcuni fogli volanti con melodie popolari, i primi spartiti della tradizione ceciliana, le opere di maestri come Palestrina, Viadana, Perosi, Refice, Casimiri. Dopo un primo approccio “casalingo” nelle aule del seminario, avverte incontenibile il bisogno di approfondire, imparare, acquisire i mezzi che gli permettano di parlare speditamente il linguaggio musicale e di scriverlo senza intoppi.

            È il periodo della solida preparazione compiuta grazie all’insolito studio a distanza con qualificati maestri del Conservatorio Cherubini di Firenze (Rodolfo Cicionesi per l’armonia e il contrappunto, Alessandro Esposito per la composizione organistica) e del Conservatorio Verdi di Milano (Amerigo Bortone per la polifonia antica). La mancanza del contatto diretto con i docenti è supplita dal suo impegno fervoroso e puntuale nello stendere i compiti di armonia, contrappunto e composizione. Il lavoro del discepolo trova fraterna accoglienza nei docenti che per corrispondenza precisano, consigliano, aprono nuovi orizzonti

            Don Pietro vive sulla scia di maestri come Johann Sebastian Bach, il quale non disdegnava di copiare a mano opere di Vivaldi per comprenderne meglio il linguaggio e scoprire qualche nuovo segreto compositivo. Anche il Nostro affronta lo studio assolvendo tutti i debiti scolastici, ma va ben oltre il minimo necessario richiesto per superare gli esami. S’immerge nei migliori lavori della Tradizione che affinano la sua sensibilità, lo confermano nel percorso intrapreso e lo conducono con passo sicuro al punto in cui testo letterario e musicale si fondono in un unico canto nella musica sognata, pensata, scritta e vissuta per la liturgia.

            L’impegno musicale di don Pietro si concentra principalmente sull’attività liturgica. Questo è il territorio dove spazia dilatando sempre più i suoi confini di musicista, trovando nuove vie e modalità espressive capaci di segnare la sua esperienza di fede e di coinvolgere quanti hanno avuto e hanno tuttora la possibilità di lasciarsi guidare dalle sue composizioni. Una naturale, ma non ovvia conseguenza dell’attività creatrice è stato l’impegno didattico, vuoi come direttore di coro vuoi come insegnante di musica. Occorre però ricordare che la liturgia non ha monopolizzato gli interessi di don Pietro. Non ha mai dimenticato le sue origini, i primi contatti con la vita musicale nel paese, le strimpellate sul mandolino e gli arpeggi sulla chitarra. All’oralità popolare che aveva segnato i suoi anni infantili don Pietro sarà sempre riconoscente. Attraverso la scrittura per composizioni destinate alla chitarra (per un totale di 428 brani) egli offre un grazie sincero e affettuoso al mondo dell’oralità. La sua musica in questo caso è sì scritta, ma la scrittura è una mediazione necessaria e proposta al chitarrista perché se ne appropri e la suoni con quella appassionata spontaneità che contraddistingue proprio il mondo musicale di tradizione orale.

            A livello materiale di scrittura musicale, l’opera di don Pietro Allori è confluita in un fondo speciale che raccoglie la produzione del M° di Cappella di Iglesias.[2] È un patrimonio al cui valore intrinseco si aggiunge un elemento aggiuntivo costituito dal fatto che oggi in un unico luogo si conserva l’intera opera musicale prodotta nell’arco di una vita. Varie migliaia di fogli scritti a mano testimoniano la laboriosità e le spiccate doti di una persona; parimenti rivelano uno spaccato della vita di una comunità che ha chiesto, suggerito e poi accolto e fatta propria la professione di fede e il canto di valenza sociale. In tutto ciò don Pietro, grazie soprattutto alla sua formazione nella cultura orale del luogo, assurge a portavoce dei sentimenti che hanno segnato la Chiesa e la comunità locale. Istruito dalla cultura popolare, in un secondo tempo diviene artefice di un rinnovamento di questa stessa cultura che va ben oltre i confini della diocesi. Il patrimonio musicale è disponibile per nuove esecuzioni, ma in particolare attende ora di essere studiato per conoscere meglio un capitolo importante della storia di questa terra il cui sviluppo spirituale per alcuni decenni è stato accompagnato e sostenuto dalle musiche di don Allori.

3] Interpretazione

            Non esiste la musica scritta. Dopo quanto si è detto finora, sembrerebbe proprio il contrario. Ma è vero e spesso ci si dimentica che la musica vive soltanto nel momento in cui risuona. Quando il suono svanisce e si spegne nell’aria o nei confini della fantasia interiore, la musica scompare. La sua consistenza è fragile e precaria. La sua esistenza è effimera. Di questa realtà sfuggente don Pietro ha fatto esperienza sin da piccino. Nel muovere i primi passi nel territorio scandito dalle note, come tanti altri ragazzini anche lui è stato sorpreso nell’udire tante sinfonie di suoni. La sorpresa più grande è stata però scoprire la propria voce che inseguiva le melodie udite. Un’impresa non sempre facile, costellata da imprevisti, da lacune improvvise nella memoria. Mentre, altre volte, premeva sulla voce l’urgenza di fare delle divagazioni, di avventurarsi in campi ignoti. Per ritornare poi ai modelli ascoltati con attenta venerazione: la voce della nonna, la voce del parroco…

            Cantare da solo, cantare in coro, affrontare il solletico delle corde del mandolino: sono alcune tappe di un cammino che presto pone Pietro di fronte a una realtà semplice ed insieme complessa. Complessa perché il pezzo musicale si costruisce con tanti elementi: le note della melodia, i vari moduli che scandiscono i tempi brevi e lunghi, le zone chiare e scure evidenziate dal timbro, i testi in sardo, italiano e latino… Se si fa attenzione a questi singoli aspetti si rischia una grande confusione nel perdere il ritmo e nell’abbandonare la linea melodica. Tutto diviene estremamente semplice, ovvio, se dopo aver concentrato l’attenzione su tutti gli elementi e aver soppesato la loro consistenza e il loro legame reciproco, ci si dimentica tutto e ci si abbandona spensieratamente al canto.

            L’interpretazione musicale non sfocia nella riproduzione meccanica di suoni secondo particolari schemi fissati in una partitura. I parametri fondanti un’interpretazione non sono la velocità vorticosa sulla tastiera né la potenza assordante della voce nel canto. L’interprete è tale quando, pur eseguendo la musica di un altro, la canta o la suona come se lui, l’interprete, in quel momento fosse illuminato da una pulsione creativa, in un vero e proprio atto creativo. È canto che sale dal cuore con la forza contagiosa di coinvolgere l’uditore attonito, rapito dalla bellezza.

            Don Pietro, come si è già visto, ha percorso un interessante cammino parallelo che l’ha portato nel profondo dell’esperienza della Parola di D-i-o e della musica. Ha ruminato la Parola fino a interiorizzarla al punto che, nello scrivere un testo liturgico, le citazioni bibliche si fondono con i suoi interventi personali tanto che a un certo punto non è possibile distinguerli: è un linguaggio integrato e unitario.[3] Sul piano musicale il percorso è parallelo: gli stilemi delle tradizioni orali, l’inventiva dei compositori affermati hanno spronato il giovane Allori che alla fine trova un suo linguaggio dove il linguaggio della tradizione e l’inventiva personale si coniugano armoniosamente e lanciano provocazioni dove nova et vetera si fondono.

            Che fare allora di fronte all’opera di don Allori? Come interpretarla? C’è un’interpretazione autentica? Nel senso di un proposta delle sue musiche che rendano giustizia allo spessore spirituale dell’autore. La via maestra per un’interpretazione, diciamo corretta, delle musiche di don Pietro è tracciata in modo inequivocabile dalla sua stessa vita. Per limitarci al repertorio della musica sacra, occorre ripercorrere le tappe fondamentali: 1) un’immersione profonda e prolungata nella Parola di D-i-o sino a vivere nell’universo delle Scritture come se nell’ambiente naturale; 2) un ascolto e una pratica della musica di tradizione orale che sprona all’ascolto e alla percezione dei particolari sino ad una “riproduzione” fedele, premessa obbligata per giungere ad un’interpretazione personale; 3) una famigliarità con il repertorio gregoriano che apre a nuove modalità di ascolto e di esecuzione, non necessariamente musicali (penso alla ruminazione della Parola – lectiones sanctas libenter audire, direbbe san Benedetto, e all’impegno concreto in gesti gratuiti di attenzione al prossimo); una frequentazione assidua dei repertori polifonici del passato grazie alla quale intelligenza e cuore sono plasmati e resi capaci non di fare, ma di essere musica ut in omnibus glorificetur Deus!


[1] Nel periodo degli studi seminaristici di don Pietro, a Cuglieri si studiava il canto gregoriano secondo il metodo di p. Gregorio M. Suñol nella traduzione di p. Mauro Sablayrolles.
[2] Per ogni approccio alla musica di don Pietro è indispensabile la guida di Pietro Allori, Composizioni muisicali. Catalogo, a cura del Coro dell’Università Cattolica, Milano, I,S.U. Università Cattolica 2006, un volume di 510 pagine con l’indice tematico di tutte le composizioni sino allora reperite. Nello scorrere le pagine del catalogo si entra nel vivo della sua missione presbiterale. Si respira la sapienza di un’evangelizzazione che si diffonde sotto la guida della liturgia per ricondurre tutti alla liturgia stessa. Più si conosce un autore, più facile è partecipare alla sua esperienza globale di uomo di fede e d’arte, co’è il caso di don Pietro. Più facile è anche collocare ogni sua singola composizione nel preciso contesto in cui è nata, per la quale è stata pensata e vissuta. Fatto particolarmente importante nel caso della musica sacra la cui patria è la liturgia.
[3] Vale la pena segnalare un situazione peculiare della musica vocale polifonica, situazione praticamente assente nei repertori cosiddetti monodici se si escludono alcuni canti dell’ordinario, la sezione iniziale di pochi offertori e, caso unico nella trattazione del testo, l’offertorio Vir erat. Si tratta di un intervento sul testo letterario del quale sono evidenziate singole parole o brevi espressioni che vengono ripetute più volte. Questo artificio oratorio è talora usato per consentire una dilatazione melodica e/o armonico-contrappuntistica quasi fine a se stessa. Altre volte lo stesso procedimento permette al compositore – ad esempio, a don Pietro nell’incalzante “Pater dimitte illis” ripetuto tre volte nella prima delle Sette parole di Cristo in croce – di dare voce ad una reale ruminazione spirituale. La Parola è sminuzzata in alcuni suoi elementi sostanziali che vengono ripresi e ripetuti secondo la tipica modalità del balbettio caratterizzante certi momenti della preghiera, sia dentro che fuori della liturgia.

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